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L’ammissibilità del tentativo nel delitto di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p.

Mag 7, 2021 | News

La Quinta Sezione della Corte di Cassazione con la Sentenza n. 1943/2020 (ud. 6 ottobre 2020 – dep. 18 gennaio 2021) riconosce la configurabilità del tentativo in assenza di uno degli eventi del reato.

La vicenda riportata all’attenzione della Corte riguarda una sentenza con cui il Tribunale territoriale di Barcellona Pozzo di Gotto (ME) riconosceva la responsabilità dell’Imputato per il delitto tentato di atti persecutori, escludendo lo stesso Giudice che uno degli eventi tipici del reato – il manifestarsi del perdurante stato di ansia e paura – si sia verificato, ciò in virtù del carattere evidentemente coriaceo della persona offesa o per ragioni di mera casualità. Il ricorrente, lamentando l’erronea applicazione della legge penale, ha contestato la configurabilità del tentativo per la fattispecie in esame, data la sua natura di reato abituale improprio, rilevando al contempo e in via residuale come, tutt’al più, vi siano gli estremi per la configurazione di altri titoli di reato.

In materia di atti persecutori, il delitto si configura solo in presenza di <<condotte reiterate>> di minaccia o molestia che provochino eventi quali un perdurante stato d’ansia o di paura, un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto ovvero un’alterazione delle proprie abitudini di vita. Ciò che quindi rileva ai fini della configurabilità del reato de quo è l’identificabilità di molteplici condotte reiterate nel tempo unificate sotto un vincolo di unitarietà, orientate alla produzione di uno degli eventi tipici indicati.

La particolare struttura del delitto di stalking quale reato abituale, improprio, a forma libera e di evento, rende ancora più interessante l’iter logico e giuridico seguito dalla Suprema Corte per pervenire alla sua decisione.

Difatti, a differenza dei reati abituali propri dove le singole condotte non sono dotate di un’autonoma rilevanza penale, in quelli di natura abituale impropria le singole azioni sarebbero, di per sé, idonee a configurare distinte fattispecie penali. Tali caratteristiche si ripercuotono ovviamente nella sede processuale, dove l’accertamento della configurabilità del tentativo della fattispecie, tra le altre, di atti persecutori, a discapito della forma consumata di un’altra fattispecie di reato-antecedente, crea qualche complicazione ulteriore. In buona sostanza, il passaggio più ostico, nei casi della stessa natura di quello sottoposto alla Corte, consiste nel demarcare la distinzione tra il tentativo di stalking e, ad esempio, il concorso materiale di minacce (art. 612 c.p.).

Ebbene, la Cassazione ha risolto la questione argomentando come, nel caso di stalking, se i singoli atti si ritrovano ad essere cementati sia sul piano temporale e cronologico delle condotte che sul piano soggettivo, inteso quale consapevolezza dell’idoneità a produrre uno degli eventi descritti dalla norma, ne consegue logicamente che, per la regola generale dei reati d’evento, è possibile che alla commissione dei singoli atti diretti in modo non equivoco a cagionare uno degli eventi non consegua l’effettiva cassazione di alcuno di essi. In tal caso il fatto sarà punibile quale delitto tentato ex art. 56 c.p.

A nulla rileva, chiarisce la Suprema Corte, il fatto che le singole condotte si connotino ex se come figure autonome di reato. Qualora infatti, nel caso concreto, sia ravvisabile a monte una organicità e sistematicità delle condotte, esse rileveranno come già unificate e vincolate sotto quel profilo di unitarietà che costituisce elemento dirimente per la sussumibilità nell’areale dell’art. 612 bis c.p.

La reiterazione degli atti, quale elemento unificante e determinante della fattispecie, dunque fa si che la rilevanza penale delle singole condotte, già di per sé realizzate, sia rinviata ad un evento,  successivo e conclusivo, al quale ognuna di esse ha donato la propria rilevanza causale. Qualora  tuttavia questo venga meno, tale vincolo unitario vivrà ancora e sarà identificabile nella forma del tentativo. E ciò con non poche conseguenze anche dal punto di vista della persona offesa che, in sede giudiziale, vedrà riconosciuto ed accertato un momento di vita caratterizzato da timore, angoscia e inquietudine, non venendo esso svilito e declassato ad un singolo ed estemporaneo atto la cui offensività non sarebbe certamente in grado di riprodurre e colmare il reale e perdurante patema subito e subendo dalla vittima.

A cura di

Giuseppe Guerriero

Laureato presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma con tesi in Diritto dell’esecuzione penale dal titolo “Il lavoro penitenziario: pilastro della rieducazione del condannato”. Durante il percorso universitario ha partecipato ad un proficuo tirocinio presso la Sezione Giurisdizionale centrale d’Appello della Corte dei Conti. All’interno dello Studio Legale collabora con il dipartimento di diritto penale.
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